SENTENZA USA “DOBBS” SUL «NON-DIRITTO» ALL’ABORTO: FINALMENTE UNA LETTURA “SUI TETTI”

Il proposito è dei più “sani” di questi tempi: comprendere e approfondire la sentenza Dobbs della Corte Suprema USA del 24 giugno 2022 lontano dal bailamme del politically correct (c. sentenza Dobbs, State Health Officer of the Mississippi Department of Health, et al. v. Jackson Women’s Health Organization et al., No. 19-1392, 597 U.S., in tema di “diritto all’aborto”).

 

Il seminario, promosso dal network di associazioni della Pubblica Agenda “Ditelo sui tetti (Mt 10,27)” con il Centro Studi Livatino e l’Unione Giuristi Cattolici Italiani – Unione romana, svoltosi nella bella Sala Apollo del Palazzo Maffei Marescotti a Roma mercoledì 13 luglio 2022, è stato introdotto da Alfredo Mantovano, consigliere di Cassazione e vicepresidente del Centro Studi Livatino.

 

Il clamore che ha accompagnato la pronuncia della Corte Suprema del 24 giugno scorso -esordiva Mantovano- di per sé non si giustifica, perché si inserisce in un rapporto fisiologico proprio dell’ordinamento statunitense, che peraltro perdura da oltre due secoli, fra Corte Suprema, singoli Stati federati e lo Stato federale”, rapporto storico di cui il giurista del Livatino ha proposto alcuni inequivocabili esempi. “ -continuava il consigliere della Suprema Corte italiana- si possono comprendere critiche mosse anche da seppur autorevolissime figure quali Sabino Cassese, che ha bollato la sentenza quale «atto eversivo» perché i giudici si sarebbero spogliati del loro potere per darlo a cinquanta Stati”. “Non è chiaro, però, se si tratti dello stesso Cassese che solo qualche settimana fa ha denunciato quel ruolo improprio dei giudici italiani in sovrapposizione sulla leva normativa, che dovrebbe essere invece appannaggio del Parlamento”. “Anche, negli USA -proseguiva, poi, il cofondatore del Livatino- ciascuno Stato possedeva già nel momento in cui si federava un proprio Parlamento e proprie leggi, il cui esercizio era stato impedito in una materia tanto importante da una sentenza del 1973, fino a quando una nuova sentenza qualche giorno fa ha finalmente attirato l’attenzione su questa pericolosa prassi istituzionale di vedere sopraffatte dalle Corti supreme gli spazi della rappresentanza popolare. Infatti, come ci avvisa fin dagli anni ‘50 il pedagogo statunitense Robert Maynard Hutchins, «La morte della democrazia non sarà opera di un assassino in agguato. Più probabilmente sarà una lenta estinzione causata da apatia, indifferenza e denutrizione». (cfr. anche https://www.centrostudilivatino.it/la-corte-suprema-ha-rimesso-al-loro-posto-i-giudici-non-solo-sullaborto/)”

Un ammonimento questo citato da Alfredo Mantovano -interveniva il moderatore Domenico Menorello dell’Agenda “sui tetti”- da poco non a caso ripetuto da uno dei più grandi filosofi mondiali viventi, il coreano di cultura tedesca Byung-Chul Han, che notava come sempre più «a salire sul palco non siano i rivoluzionari, bensì i trainer motivazionali che impediscono il diffondersi del malumore e della rabbia», affinché «ognuno si tenga occupato solo con sé stesso, con la propria psiche, invece di indagare criticamente le questioni sociali» (cfr. Byung-Chul Han, La società senza dolore, Einaudi 2021)”. “Noi, invece, -proseguiva l’avvocato padovano- non abbiamo timore nel condividere un sincero «malumore» per la superficialità e la strumentalità con cui è stata accompagnata la sentenza Dobbs e intendiamo occuparci con la massima serietà proprio delle essenziali «questioni sociali» che questo fatto propone sia in tema di aborto che di rapporto fra Giudici e Legislatori, coscienti che con ciò teniamo desta non solo la nostra libertà, ma lo stesso tessuto democratico in Italia”.

I contenuti della pronuncia americana del 24 giugno 2022 sono stati magistralmente affidati alla prof.ssa Giovanna Razzano, ordinaria di diritto pubblico all’Università La Sapienza, che notava come, “significativamente, per la prima volta nella storia una sentenza sia stata trafugata e anticipata prima della sua pubblicazione, provocando l’attivazione di una critica serrata alla stessa, senza nemmeno conoscerne il testo ufficiale!”. Entrando, poi, nel merito della stessa, la cattedratica romana premetteva che, “per comprendere il senso della pronuncia del 24 giugno 2022 della Corte Suprema USA, è necessario tenere presente la nota precedente sentenza del 1973 in Roe v. Wade (410 U. S. 113, 1973), con la quale era stato riconosciuto il diritto di interruzione della gravidanza anche in assenza di problemi di salute per la gestante, per il feto e per ogni altra circostanza non riconducibile alla libera scelta della donna”. “In quel periodo -contestualizzava la Razzano- da un lato si era in un momento di esaltazione dell’autodeterminazione soggettiva e, dall’altro e all’opposto, la maggior parte degli Stati considerava l’aborto un reato. Con la pronuncia del ’73, la Corte Suprema statunitense aveva allora direttamente avocato a sé il ruolo normativo che era degli Stati federati, dettando una dettagliatissima disciplina sul presupposto di considerare la maternità un grave problema, in quanto proprio la maternità -secondo i Giudici del 1973- avrebbe rappresentato una delle principali cause della discriminazione femminile. In particolare, facendo assurgere a diritto costituzionale l’aborto, la sentenza Roe prescriveva che nel primo trimestre nessuno Stato americano avrebbe potuto limitare l’interruzione di gravidanza, mentre nel secondo trimestre gli Stati sarebbero potuti intervenire solo per favorire il diritto di aborto e la salute della donna, visto che al feto non si riconoscevano diritti e veniva chiamato «vita potenziale». Solo nel terzo trimestre si consentiva agli stati di tutelare anche la «vita potenziale», in ragione della convinzione degli stessi Giudici di allora, secondo cui dal settimo mese il feto avrebbe potuto anche sopravvivere dopo il parto, dunque considerando vitale solo l’esistenza extrauterina”. “Così, questa sentenza estrema –chiosava la prof.ssa Razzano- diventò la «normativa» americana, impedendo ai cinquanta stati di legiferare e sin da allora a molti questa decisione parve una usurpazione del ruolo dei Parlamenti in rappresentanza del popolo”, benché “nel 1992 tale anomala situazione venne riconfermata dalla sentenza Casey, in base al principio dello stare decisis, ma aggiungendo il criterio dell’ «ingiusto peso» che la donna non avrebbe mai dovuto subire se avesse voluto abortire, cosicché su questo ulteriore profilo gli Stati poi legiferarono in modo molto diversificato e nella babele normativa che ne derivò furono, significativamente, gli Stati più ricchi a introdurre norme molto permissive”.

Precisato il contesto storico-giuridico, “la Corte Suprema -spiegava la prof.ssa Razzano nella seconda parte della sua relazione- è intervenuta sulla paventata incostituzionalità di una legge dello Stato del Mississippi, per la quale era stata assunta a parametro sempre la sentenza Roe del 1973 rispetto all’ivi disposto divieto di aborto oltre la 15ma settima di gestazione (quindi si trattava di una disciplina persino più permissiva della legge 194/78 italiana)”. “Mi piace notare -aggiungeva la giurista de La Sapienza- che, a dispetto degli echi unidirezionali che sono stati fatti risuonare in Italia, negli interventi fatti pervenire alla Corte Suprema durante il processo vi sono stati anche molti contributi pro-life, fra i quali degne di nota sono le numerose riflessioni per una restrizione dell’indiscriminato diritto all’aborto sostenute anche da movimenti femministi a favore della tutela del nascituro. In effetti, sovente sono state le donne parlamentari negli Stati federati a proporre discipline più restrittive dell’aborto”.

Entrando nel merito di quanto statuito, Razzano spiegava che “Il contenuto della sentenza Dobbs del 24 giugno 2022 è stato l’annullamento della sentenza Roe 1973, ma, a differenza di quanto riportato da molte fonti in Italia, non è stato dichiarato che il nascituro è una persona umana e ha diritto alla vita, né sono state dichiarate incostituzionali le leggi permissive dell’aborto, benché alcune tesi avessero domandato  di arrivare a simili conseguenze in base al 14° emendamento della costituzione americana. In realtà, si tratta di una sentenza minimale, perché si afferma semplicemente che sul tema dell’aborto la Costituzione americana non prevede né un divieto di aborto, né un diritto di aborto, piuttosto ritenendo che venga in rilievo una questione politica perché si devono bilanciare posizioni soggettive diverse e concludendo che, di conseguenza, gli arbitri di una questione politica sono solo i parlamenti degli Stati”. “La pronuncia dovrebbe essere fatta comunque conoscere perché è bene argomentata, con una motivazione ampia di cui in Italia sono state riportate solo le dissenting opinions dei tre giudici di minoranza, senza nemmeno le repliche del relatore. In estrema sintesi, le ragioni si fondano non su assiomi, ma su argomentazioni prettamente logiche, in particolare applicando rigorosamente il principio di non contraddizione di matrice aristotelica. Fra l’altro, si è ritenuto che il diritto di aborto non abbia fondamento costituzionale, innanzitutto perché non vi é una espressione scritta in tal senso nella Carta fondamentale. Quindi, è stato osservato che una posizione soggettiva può assurgere a «diritto» senza un riferimento costituzionale esplicito solo in presenza di ulteriori criteri e basi molto solidi. Invece, nell’esporre del 24 giugno 2022, la Corte Suprema ha osservato che la precedente sentenza del ‘73 fondava il presunto «diritto di aborto» sul diritto alla privacy, ma ora i Giudici ritenendo che da una norma procedurale non si possa fondare un diritto sostanziale. La pronuncia del 2022 disconosce poi, e fra l’altro, una evidenza razionale e scientifica all’ulteriore assioma su cui poggiava la decisione del 1973 ovvero che l’unica vitalità sarebbe stata quella possibile al di fuori dell’ambiente uterino”. “Piuttosto, la Corte Suprema USA -concludeva la seconda parte del suo dire la prof. Razzano– ha osservato come dall’espressione «any person» fosse ricavabile il divieto stabilito dal 14mo emendamento della Costituzione americana di privare della vita «qualsiasi» persona, ivi potendo essere incluso semmai anche il nascituro, cosicché erroneamente la giurisprudenza pregressa non avrebbe tenuto conto che il concepito è un essere umano il che deve almeno escludere la presenza di un «diritto di aborto»”, con ciò ritenendo quanto stabilito nel 1973 “gravemente errato”.

In un terzo passaggio, la prof. Razzano ha appuntato che la sentenza del 24 giugno 2022 “rappresenta anche uno stop al creativismo giudiziale, ridando centralità alla rappresentanza popolare, perché i giudici hanno riconosciuto di non essere legislatori, ritenendo che il potere di disciplinare l’aborto dovesse tornare al popolo tramite i suoi rappresentanti: che vi sia una prospettiva di civiltà dipende ora dai singoli Stati”.

Se la giurista de La Sapienza in calce al suo intervento ha ritenuto che sia in corso “il tentativo da parte dei principali mass media di evitare il contatto fra questa sentenza e l’opinione pubblica”, all’opposto il seminario ha allora allargato tale contatto, chiedendo, da un lato, al Prof. Gambino di indugiare sul tema dell’esistenza o meno di un “diritto all’aborto” e, dall’altro, al prof. Vari di valorizzare le novità in tema di rapporti fra Giudici e Parlamento.

Sul primo fronte di riflessione aperto dalla sentenza statunitense Dobbs, Alberto Gambino, prorettore dell’Università Europea e Presidente di Scienza e Vita, ha dichiarato una prospettiva di concretezza che sarebbe poi stata mantenuta per l’intero intervento. “Dobbiamo riflettere a partire dal momento più drammatico, da quando, cioè, una donna si trova davanti alla scelta fra abortire o non abortire. Negli USA degli anni ’70 attorno a questa circostanza era stata individuata una sorta di zona franca per la donna, sostenuta dai principi della normativa privacy, da cui è stata derivata la sentenza del 1973. Si è fatto strada un diritto di libertà con un’accezione così ampia da ricomprendere al proprio interno persino l’eliminazione di un altro essere umano”. “Tuttavia -ricorda il prof. Gambino- esiste storicamente anche un’altra prospettiva giuridica, che propone un contemperamento fra i due interessi che vengono in gioco, tant’è che, prima della sentenza del ’73, gli stessi Stati americani si erano mossi nel senso di un siffatto contemperamento. Peraltro, il tipo di, per così dire, bilanciamento fra il feto e la madre va rapportato anche al fatto che negli anni 1970 la conoscenza del primo era molto più approssimativa sul piano scientifico rispetto alla ben maggiore esattezza che ci è consentita ora”.

Dunque – affondava allora il Presidente di Scienza e Vita- di fronte alla domanda se ci sia un diritto a chiedere l’interruzione di gravidanza allo Stato, si deve rispondere che non esiste un diritto costituzionale di questo tipo. Esso da alcuni viene ricavato dal diritto costituzionale alla salute, ma in questo caso si trascura che l’art. 32 della nostra Carta fondamentale ha tanto una accezione individuale, quanto una collettiva di tale diritto ma si fa prevalere sempre di più quella individuale. Una simile operazione culturale e interpretativa conduce a dover riconoscere che la società del benessere finisce per «reificare soggetti», quali il nascituro, che invece non possono essere considerati quali semplici res. Di più: non possiamo non notare che in tutte le questioni che hanno a tema la vita, quali le problematiche dell’inizio vita come quelle egualmente di attualità del fine-vita, appare un filo comune, una matrice antropologica unificante, rappresentata dal considerare soggetti umani quali oggetti nella disponibilità di altri, dunque rappresentata della «reificazione» di soggetti deboli. Dobbiamo svelare con la forza della ragione questa premessa irragionevole”.

Il prorettore a questo punto non ha avuto tema di avviare un vero e proprio “contropiede”. “Dobbiamo allora trovare -incalzava- controproposte che mettano in luce le contraddizioni che ci sono nella 194 e prospettino un diverso contemperamento fra le due posizioni soggettive. Una controproposta può essere il riconoscimento legislativo di adottare alla nascita, consentendo a dei genitori adottivi di subentrare già al momento del parto a genitori biologici che rifiutino il figlio, mantenendo l’impianto proprio dell’adozione. Comunque, -concludeva significativamente il prof. Gambino- anche alla luce delle evidenze scientifiche sulla vita prenatale è divenuto ormai necessario un nuovo bilanciamento fra embrione e donna, atteso che è la stessa prospettiva costituzionale correttamente assunta che ci deve indurre a ragionare in modo nuovo, parificando le persone che vengono in rilievo”.

È toccato, poi, al prof. Filippo Vari, ordinario di diritto costituzionale all’Università Europea (Roma), esplorare l’altro fronte di novità prospettato dalla sentenza Dobbs, che “può essere una rivoluzione per gli ordinamenti costituzionali”. Riprendendo gli accenni finali dell’intervento della prof.ssa Razzano, il costituzionalista cattolico ha spiegato che “la Corte Suprema USA del 24 giugno ha apertamente denunciato come in passato essa avesse impropriamente sostituito il potere legislativo, svolgendo ora verso tale tendenza una critica radicale e addirittura denunciando come spesso la stessa Corte Suprema abbia finito per imporre proprie idee politiche, così ammettendo l’elevato tasso di politicità che si è manifestato in ordine alla configurazione di diritti ritenuti fondamentali”. Il prof. Vari ha allora immediatamente declinato l’impatto di una simile ammissione, giacché “anche in Italia abbiamo assistito a una stagione di forte intromissione del potere giudiziario sul dibattito pubblico riguardante proprio i temi più difficili, come è avvenuto, ad esempio, con la sentenza della Consulta del 1975 in tema aborto, con le posizioni della Cassazione sul caso Englaro nel 2007, con le iniziative della Corte costituzionale in materia di unioni dello stesso sesso nel 2010 e sul caso Cappato nel 2018. Tutti casi in cui il legislatore italiano è stato ed è fortemente condizionato dalle sentenze delle c.d. Magistrature Superiori”. “Dalla sentenza Dobbs possiamo perciò anche in Italia trarre una spinta a ridisegnare i rapporti fra gli organi a legittimazione democratica e gli organi a legittimazione tecnocratica”.

Né il costituzionalista romano si è fermato ad auspici di mero principio, essendo sceso alla radice dell’inversione dei ruoli fra Giudici e Legislatori, finalmente riproporzionati dalla sentenza Dobbs. “Un ruolo determinante dell’attivismo giudiziario -ha spiegato- è stato giustificato con l’art. 2 della Costituzione, intendendo, cioè, i «diritti inviolabili» ivi tutelati come una fattispecie aperta, interpretabile liberamente e indefinitamente in sede giudiziaria. Si tratta di una prospettiva non condivisibile, perché, come numerosi autori, quali Antonio Ruggeri, hanno notato, quando si crea un «nuovo diritto» questo va ad incidere su altri diritti certamente fondati costituzionalmente, che vengono indebitamente compressi. Quindi, l’art. 2 non può essere visto come una valvola attraverso la quale inserire qualsiasi posizione. E qui sta la valenza metodologica della pronuncia Dobbs, che ha attentamente verificato il precedente riconoscimento del c.d. «diritto all’aborto» ammettendone contraddizioni e cercando l’eventuale esistenza di altre fonti a fondamento dello stesso, che non ha trovato”. “Ciò dovrebbe far ammettere chi esercita la giurisdizione che il Giudice non può usare l’art. 2 della Costituzione per coniare nuovi diritti in assenza di una motivazione precisa che si appoggi ad altre fonti, senza con ciò violare le prerogative degli organi a legittimazione democratica”. Di qui una proposta concreta anche sul secondo nuovo spazio di lavoro che si intravvede dal 24 giugno 2022: “Sull’esempio americano, sarebbe utile, che anche la Suprema Corte italiana elaborasse delle griglie per individuare ed esplicitare criteri oggettivi solo in presenza dei quali un Giudice possa evocare l’art. 2 della Costituzione per affermare l’esistenza di nuovi diritti”.

La ricchezza argomentativa e le concrete prospettive di lavoro indicate dai relatori hanno dato luogo a un ampio dibattito fra i presenti, fra i quali la sen. Paola Binetti, il prof. Piero Sandulli, l’on. Luisa Santolini, il prof. Gioacchino La Rocca, che ha consentito alla prof.ssa Agnese Camilli, coordinatrice della struttura di supporto del Comitato Nazionale di Bioetica presso la Presidenza del Consiglio e del direttivo dei Giuristi Cattolici di Roma, di concludere ricordando, innanzitutto, che “anche accedendo a una concezione di libertà come quella degli abortisti, si deve ammettere che non si può trascurare la libertà di chi è chiamato alla vita come era accaduto con la sentenza della Corte USA del 1973”. “Ciò avviene se si tralascia persino una conoscenza minimale dei tanti aspetti che sono connessi alla vita, benché si pretenda di giudicarla e di deciderne le sorti. Viene caro, a proposito, l’insegnamento di Arturo Carlo Jemolo, quando ammoniva che il «diritto di famiglia» è un’isola che l’approccio giuridico può lambire soltanto, essendo costituito da questioni con radici nella natura, nella scienza e nelle idealità delle persone. Per questo, diviene sempre più urgente una intensa attività di formazione sin dalle scuole che frequentano i giovani e nei corsi per i giuristi, allo scopo di spiegare nozioni di base, che spesso sono costituite da evidenze scientifiche e antropologiche, come si dovrebbe riconoscere, ad esempio, che non si è mai visto una donna pentirsi di aver fatto nascere un figlio mentre ciò spesso è avvenuto per un condizionamento culturale negativo rispetto al quale non vi era, appunto, una adeguata preparazione”. “A un nuovo sguardo del giudizio e della cultura per la vita -aggiungeva la prof.ssa Camilli, rilanciando un’azione concreta- sapremo accompagnare anche idee che riverberino la bellezza e la corrispondenza dei una passione per l’uomo, come la citata proposta per l’adottabilità del concepito, presentata proprio dai Giuristi Cattolici in un convegno che si è svolto, non a caso, presso la Cassazione il 21 novembre 2019 e che forse ora, anche alla luce della sentenza Dobbs, potrà percorrere nuova strada!”.

La formazione di un giudizio nuovo non è possibile senza un reciproco aiuto in un lavoro di discernimento, specie se si devono saper riconoscere le motivazioni che conducono a una “cultura dello scarto” anziché a una “passione per l’uomo”.

Così, il cammino insieme di tante associazioni, che negli ultimi tre mesi hanno già svolto una dozzina di appuntamenti in tutta Italia su alcune proposte all’esame del Parlamento, continuerà su questo livello anche nelle prossime settimane, il 9 e il 10 agosto a Lacedonia (AV) e, appuntamento da non perdere, il 22 agosto 2022 alle ore 18 al Meeting di Rimini, come riporta già il programma della manifestazione appena pubblicato: https://www.meetingrimini.org/eventi-totale/webinar-fra-passione-per-luomo-e-cultura-dello-scarto-fine-vita-dialogo-alla-luce-del-ddl2553-senato/

Ci si incontra a breve “Sui tetti”, allora!