On.li Senatori,
On.li Deputati,
lo scorso 9 marzo 2022 presso l’Aula Magna della Pontificia Università dell’Angelicum in Roma oltre settanta associazioni no profit hanno elaborato una Pubblica Agenda, significativamente denominata “Ditelo SUI TETTI (Mt. 10,27)”, come contributo a un dialogo per un giudizio sulle questioni all’esame dei decisori ritenute prioritarie, declinando specifiche proposte allo scopo di favorire norme che tutelino e valorizzino uno sguardo integrale sull’uomo e non incrementino la cultura dello scarto dei soggetti più fragili.
La prima versione di tale Pubblica Agenda è al link: https://www.suitetti.org/agenda/.
Al relativo sito si può accedere agli interventi di esplicazione dell’iniziativa, che verrà aggiornata continuativamente, nonché, e fra l’altro, alla magistrale lezione di S.E.R., Cardinale Pietro Parolin, che ci è apparsa particolarmente illuminante anche sotto il profilo della prospettiva cui può mirare ogni impegno per lo sviluppo umano.
La relazione del Segretario di Stato di Sua Santità è accessibile qui.
L’auspicata dinamica di un confronto franco sulle ragioni antropologiche che, in ogni caso, giustificano le scelte circa le norme di legge regolatrici di una comunità civile ci induce a chiedere a ciascuno di Voi di riaprire un dialogo nel merito di quanto deliberato dalla Camera dei deputati in materia di morte volontaria medicalmente assistita il 10 marzo scorso (AC 2 e altri), divenuto ora il disegno di legge del Senato n. 2553.
Non è questa la sede per entrare nel merito di quanto osservato dalle associazioni sul testo in oggetto, che viene sinteticamente riportato nell’Agenda allegata ed è stato illustrato all’Angelicum dal prof. Filppo Boscia, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani.
Piuttosto e in ogni caso, il livello irrinunciabile su cui appare necessario riaprire una discussione nel Paese su un tema destinato a incidere profondamente nella mentalità corrente – e persino nello sguardo con cui ognuno di noi si rivolgerà a chi è nella difficoltà – è quello che si riferisce (almeno) ai parametri costituzionali, che dovrebbero, per tutti, rappresentare il presupposto su cui orientare le scelte normative.
Invece, l’iter della proposta di legge sul fine-vita appare, allo stato, caratterizzato da un progressivo smarcamento da tali riferimenti costituzionali.
Ci permettiamo, qui, solo tre cenni esemplificativi di detta parabola e della necessità della sua inversione.
- Dall’inizio del percorso legislativo, il testo unificato sul quale le Commissioni II e XII della Camera avevano avviato l’iter aveva palesemente sottovalutato il senso che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 242/2019, ha attribuito alle cure palliative, definite non solo diritti essenziali della persona, ma persino pre-requisito di ogni ipotizzato percorso di morte medicalmente assistita. Ma che si tratti ancora di veri e propri “diritti negati” è stato accertato con la unanime relazione del 10 aprile 2019 della apposita indagine approvata dalla stessa XII Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati.
- Durante il percorso istruttorio nelle Commissioni, poi, è stato modificato lo stesso art. 1 della pdl AC 2 e abbinati, ampliando di molto il perimetro descritto dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 242/2019, prescindendo dallo “stato terminale” e ipotizzando persino che la morte possa essere chiesta al Servizio Sanitario Nazionale anche in presenza di una semplice “condizione clinica irreversibile”. Il che comporta anche il riferimento a una disabilità o a una non autosufficienza correlata a patologie croniche o semplicemente all’età. Così, la procurata morte -per mutuare espressioni dalla recentissima sentenza della Corte n. 50/2022, “potendo connettersi anche a situazioni di disagio di natura del tutto diversa” da quelle inerenti a una fase terminale, possono consistere in meri stati afflittivi cronici, depressioni, menomazioni anche lievi, con le quali ben si può e si deve essere incoraggiati a convivere.
- Il voto dell’aula di Montecitorio, infine, ha reso molto facile l’accesso all’eutanasia modificando l’art. 3, comma 2 e ha addirittura inserito, all’art. 11, comma 2, le relative prestazioni sanitarie nell’ambito dei LEA, che, unitamente alle specifiche modalità di ricorso al Giudice di cui all’art. 5, comma 8, sovvertono la sentenza n. 242/2019 della Corte nel punto in cui, invece, aveva negato l’esistenza di un “diritto” a ottenere la morte in una struttura sanitaria, perché aveva escluso di voler creare un «obbligo di procedere in capo ai medici»1 (Cfr. Alberto Gambino, Agenzia SIR, 13 dicembre 2021). Non solo. Ancora il voto finale del 10 marzo 2022, emendando l’art. 5, comma 2, del testo istruito nelle Commissioni, ha espressamente escluso rilevanza a quelle “condizioni sociali e familiari”, che potrebbero e dovrebbero, invece, essere le leve di compagnia da incoraggiare massimamente per ritrovare una speranza di vita nelle situazioni difficili.
Eppure, solo qualche giorno prima veniva depositata la sentenza della Consulta n. 50, che, fra l’altro, ammoniva sulla impraticabilità di “una disciplina delle scelte di fine vita che, «in nome di una concezione astratta dell’autonomia individuale», ignori «le condizioni concrete di disagio o di abbandono nelle quali, spesso, simili decisioni vengono concepite» (ordinanza n. 207 del 2018)”. Infatti, la Corte costituzionale, dopo aver “ribadito il «cardinale rilievo del valore della vita»” ha evidenziato la necessità di “proteggere [lo stesso] diritto alla vita, soprattutto – ma occorre aggiungere: non soltanto – delle persone più deboli e vulnerabili, in confronto a scelte estreme e irreparabili”.
Aver, invece, aperto le porte degli ospedali italiani (quelli che dovrebbero servire al “recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali”, come recita l’art. 1 della legge n. 833/78) per attuare scelte di morte persino di persone ad esempio colpite dalla depressione o dalla disabilità elude quel “quadro costituzionale, che guarda alla persona umana come a un valore in sé, e non come a un semplice mezzo per il soddisfacimento di interessi collettivi” (ancora sentenza Consulta 50/22).
Può forse accettarsi che, a pochi giorni dall’udienza del 15 febbraio 2022, si proceda surrettiziamente per ottenere per via legislativa ciò la Corte costituzionale ha escluso per via referendaria?
Siamo certi che dai prossimi giorni si potrà riaprire un dialogo sulla base di valori e vincoli antropologici della Costituzione, che -ne siamo sicuri- tutti i parlamentari intendono -e comunque devono- pienamente attuare.
A nome dei promotori della Pubblica Agenda, porgiamo un saluto cordiale.
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