LA SFIDA ANTROPOLOGICA

di: Luisa Capitanio Santolini

Come ormai è noto mesi fa è stata presentata al Cardinale Parolin, Segretario di Stato Vaticano, ed al Cardinale Bassetti, presidente della C.E.I., una Agenda con il programma di un’azione a livello parlamentare e della opinione pubblica su alcuni temi scottanti che da anni interpellano la comunità cristiana e che da anni non trovano adeguata risposta. Una Agenda ambiziosa, fatta propria da decine di Associazioni cattoliche decise a “scrivere sui tetti” ciò che urge alla società e alla politica. A questa proposta il Cardinale Parolin ha risposto con una Lectio magistralis che è diventata la bussola per orientarsi nel complesso panorama della politica italiana.

Ebbene fin dalle prime righe della sua relazione il Cardinale parla di “temperie culturale …..tale da mettere in crisi la stessa idea di uomo e innescare una vera e propria crisi antropologica”. E poco dopo “ ….nonostante i tentativi di superamento, le domande di fondo che accompagnano l’esistenza umana – e la interrogano fondamentalmente sul senso della vita , della morte e della sofferenza- restano immutate e presenti e restano tali, perché fanno parte della stessa natura umana”.

Ecco il punto centrale di ogni riflessione dal quale partire per qualsiasi iniziativa è “la questione antropologica” evocata da S. Giovanni Paolo ll, da Benedetto XVl e ancora prima da Paolo Vl che avevano profetizzato e denunciato la perdita del significato sacro della vita, la perdita della identità dell’uomo che coinvolge anche i non credenti e in un certo senso va oltre la perdita del significato ultimo della esistenza in un orizzonte escatologico Ora siamo nell’occhio del ciclone di questa tempesta perfetta contro l’uomo e c’è da chiedersi se siamo ancora in possesso della cassetta degli attrezzi per far fronte a questa sfida sovrumana. I problemi che dobbiamo affrontare sono sotto gli occhi di tutti ma si ha come l’impressione che i nostri occhi siano chiusi, o coperti da uno spesso velo, o semplicemente ciechi. La questione antropologica, nei termini in cui è messa, rappresenta un inedito problema nella storia della umanità. Ed è un tema che riguarda tutti e che ha delle ricadute eccezionali non solo sulla vita delle persone e sulle loro scelte individuali, ma anche sulla vita pubblica, e sulle scelte politiche che nel bene o nel male possono condizionare il futuro dell’uomo e della sua storia.

Se guardiamo insieme in sintesi alcuni titoli del grande libro della sfida antropologica che stiamo scrivendo ci accorgeremo che sono tutti centrati sul tema della vita umana e della famiglia. Dalle risposte che daremo a questi temi dipende in buona parte il nostro futuro: la manipolazione della vita, la disponibilità della vita nei laboratori scientifici di tutto il mondo, l’uso degli embrioni a scopi scientifici, una eugenetica ormai neanche più strisciante per cui si selezionano gli embrioni sani e si scartano quelli difettosi, la possibilità di clonare gli esseri umani come è stato fatto per gli animali, la diagnosi pre impianto che ha avvallato “il diritto al figlio sano”, la possibilità di avere genitori biologici diversi da quelli sociali, il recente dramma degli uteri in affitto con relativo sfruttamento inedito e disumano delle donne, la silenziosa accettazione che “qualcuno” stabilisca chi è degno o meno di vivere, la decostruzione sistematica della famiglia per cui tutto è famiglia e dunque niente è più famiglia, la silenziosa complicità di uccisione “per legge” di persone che non sono malati terminali ma “solo” gravemente disabili. Siamo al controllo della vita e della morte delle persone; è tutto ciò è terribilmente e profondamente disumano. E non è finita: allargando il discorso possiamo constatare che anche tra gli scienziati è diffuso il pensiero che l’uomo sia un mezzo e non un fine, possiamo osservare il passaggio dalla ingegneria genetica alla ingegneria sociale, possiamo osservare la tecnoscienza che domina ormai il mondo occidentale, o la pretesa di negare al sesso un dato di natura imprescindibile, bensì di legarlo al dato culturale dunque variabile nel tempo. Per ora le risposte sono in linea con il “pensiero debole”: siamo d’accordo o siamo indifferenti all’idea che tutto ciò che è tecnicamente fattibile sia anche lecito, (anzi diventi una pretesa senza appello); siamo disattenti al proliferare di nuovi diritti attraverso sentenze e giudici, che trasformano desideri o interessi privati in diritti che stridono con i doveri derivanti dalla responsabilità sociale; non discutiamo sulla concezione positivista della natura e della ragione secondo la quale quello che non è verificabile non rientra nell’ambito della ragione per cui ethos e religione sono fuori gioco. Un groviglio di situazioni al limite dell’assurdo di cui forse non tutti hanno la consapevolezza. Ebbene ci è stato chiesto di dire queste cose sui tetti (delle Chiese delle case e delle scuole aggiungo io) ma questo comporta la nostra capacità di salire su quei tetti, la nostra volontà di sfidare le logiche in voga, il nostro coraggio di salire sempre più in alto quando tante sirene ci invitano a non sfidare la gravità…….

L’uomo ha raggiunto un potere a cui non corrisponde altrettanta forza morale o adeguata capacità di discernimento; le democrazie mettono ai voti problematiche antropologiche fondamentali che non dovrebbero collocarsi nel dibattito politico, ma dovrebbero appartenere al comune sentire e dunque collocarsi nel condiviso orizzonte di senso di una società. Senza una adeguata informazione e senza una adeguata formazione le persone vanno alla deriva e si lasciano travolgere da una società “liquida” per la quale nulla è duraturo, niente è solido, niente è indisponibile. Cosa sia l’uomo ormai è una opinione e si invoca tolleranza anche nei confronti di ciò che umano non è.

Tutto questo ha costi sociali molto alti, fa perdere di vista i valori comuni da difendere, primo tra i quali quello della vita, scardina la società, mette in crisi lo stato di diritto, altera la giustizia, rende flebile il discernimento etico, crea uno scontro tra i sessi e le generazioni con esiti dolorosi. Per questo impegnarsi su questi fronti e accettare la sfida del post-moderno è indispensabile, dal momento che la partita si gioca non solo sul fronte della economia, della politica estera, del terrorismo e delle migrazioni, ma si gioca innanzi tutto sul fronte delle nuove ideologie che avanzano e che rappresentano e sempre di più rappresenteranno una sorta di banco di prova per le diverse concezioni del mondo e dell’uomo nelle loro inevitabili incarnazioni storiche, politiche e sociali. Scrivere queste riflessioni in tempo di guerra può sembrare fuori luogo. Poco lontano da noi migliaia di bambini se sopravviveranno saranno segnati per sempre da quello che sta succedendo a loro e alle loro famiglie. Immagini di orrore, di sangue e di lacrime senza fine che lasciano sgomenti. Sembra non ci sia limite alla brutalità dell’uomo. E alla barbarie. Ebbene penso che proprio a partire da tutto questo si debbano declinare “sui tetti” i valori non negoziabili della vita e della famiglia senza i quali il futuro non avrà speranza e soprattutto non avrà più senso.

 

(pubblicato sulla rivista “Intervento nella Società”)