Intervento di Luigi Morgano, Segretario Nazionale FISM – Ditelo “sui tetti”

L’impegno della FISM (Federazione Italiana Scuole Materne), ma anche delle altre Federazioni e Associazioni di scuole cattoliche e di ispirazione cristiana, compresa la formazione professionale, si riassume in due capisaldi: assicurare una qualità alta a livello educativo e di istruzione; perseguire una effettiva parità scolastica nel nostro Paese.

Al tema della qualità – che rinvia all’autonomia di ogni scuola (paritaria o statale) e alla definizione di un chiaro progetto educativo – è stata dedicata, ai vari livelli, pure una profonda riflessione sulle criticità che i processi socio-culturali in corso stanno ponendo sul tavolo, mostrando come le questioni educative siano anche questioni culturali e politiche, e, oggi più che mai, sono tra le vere priorità di un Paese. Basti fare riferimento, sul versante della problematicità, all’incidenza che potrà gravare sulle nuove generazioni – quelle che oggi sono in età infantile – e sulla loro educazione, formale e informale, ad alcuni fenomeni, tra i quali: i cambiamenti in negativo del welfare state; il calo della natalità; il generale invecchiamento della popolazione; lo stallo della mobilità sociale; l’irrigidirsi delle diseguaglianze di opportunità tra coloro che non possono sul piano economico e coloro che possono; i rischi di “nuove” pandemie. Ancora, i flussi migratori, compresi quelli oggi più che mai attuali dovuti alla guerra in corso, e dei prossimi anni con riferimento all’integrazione dei “nuovi arrivati”. Passando, poi, al piano più propriamente culturale, l’affermarsi di un clima significativamente segnato dall’individualismo e da una crescente insensibilità verso valori che appartengono alla dignità umana. Ancora, il digitale, la sfida dell’intelligenza artificiale, il sempre più diffuso ricorso alla rete come strumento di interrelazione e di acquisizione di informazioni, con i pro e i contro che ne derivano; per non parlare dell’emergenza ambientale e delle possibili attività e professioni del futuro.

Tante questioni aperte con le quali l’educazione e la scuola debbono interfacciarsi per la parte di loro competenza. Sfide con cui misurarsi, in alleanza con la famiglia, con la determinazione di contribuire a far sì che le nuove generazioni siano protagoniste e non semplici spettatrici.

Tutto ciò ripropone, a partire dai servizi educativi e dalle scuole dell’infanzia (0-6), la capacità di coniugare fedeltà alle radici valoriali e apertura al futuro, in nome del primato del bambino che è persona, del suo diritto di crescere con approfondita coscienza di sé, per essere capace di confrontarsi con gli altri e divenire cittadino del mondo.

Un impegno che le “nostre” scuole – ovviamente, senza pretesa di esclusività – svolgono anche per il bene del Paese, mettendo in campo una visione progettuale condivisa che coinvolge tutte le componenti della comunità educante: quel villaggio di cui parla Papa Francesco, citando un proverbio africano.

Sul tema parità, la Legge 62 del 2000 ha certamente contribuito a riconoscere il ruolo pubblico svolto dalle scuole cattoliche e di ispirazione cristiana – che sono no profit – ma solo in parte minima ha affrontato la parità economica, donde la definizione di riforma incompiuta, coniata dall’allora Ministro della Pubblica Istruzione, on. prof. Luigi Berlinguer. Problema oggi aggravato dal permanere di difficoltà e squilibri economici che continuano a colpire non poche famiglie… e l’utenza dei servizi educativi e delle scuole dell’infanzia FISM (complessivamente 9.000 realtà, con poco meno di mezzo milione di bambini che li frequentano e 40.000 docenti e non docenti che vi operano) è largamente popolare, il che non consente di incrementare ulteriormente le rette a loro carico; da fattori come il forte calo demografico; la sempre maggiore complessità gestionale richiesta alle scuole, accompagnata dalla notevole difficoltà nel reperire personale docente con i titoli richiesti dalla legislazione vigente, per inadeguata programmazione a livello universitario, in particolare nel rapporto tra laureati in Scienze della formazione primaria e fabbisogno, cui va aggiunta la volontà di procedere ad un’ulteriore costosa espansione della scuola dell’infanzia statale dove, da decenni, opera quella paritaria, quindi in contrasto con la normativa e con una programmazione che dovrebbe tener conto quanto meno delle effettive dinamiche demografiche in corso.

Di conseguenza, ciò che oggi non è più rinviabile, è un impegno serio, fattivo di Governo, Parlamento e forze politiche, per concorrere a realizzare un dinamico Sistema nazionale di istruzione, costituito da scuole autonome statali e paritarie – in linea con le indicazioni dell’Unione Europea e dei Paesi più avanzati della stessa Unione – in grado di affrontare e superare difficoltà e arretratezze del nostro sistema scolastico, con particolare attenzione al versante dell’inclusione.

Quindi, che si entri nel merito e nella concretezza di attuare la parità economica, allineando la posizione del nostro Paese a quello della quasi totalità degli Stati dell’Unione (attualmente siamo fanalino di coda con Grecia e Romania).

Diversamente, accadrà che il Sistema nazionale di istruzione inevitabilmente si ridurrà a un sistema unico, quello delle sole scuole statali, con alcune presenze di scuole paritarie profit consentite solo alle famiglie che possono permettersele.

Un esito di questo genere renderebbe il nostro Paese più democratico, più libero? È possibile ignorare che un sostegno economico adeguato sia elemento irrinunciabile della parità? Insisto su questi interrogativi perché sono il crocevia a cui oggi un numero importante di scuole cattoliche e di ispirazione cristiana, in particolare dell’infanzia si trovano. L’inserimento delle scuole paritarie nel Sistema nazionale di istruzione, in forza del servizio pubblico svolto, deve comportare equità nell’accesso al sistema, certamente per gli alunni/studenti, ma anche per il personale. Un profilo, quest’ultimo, che continua ad essere trascurato e oscurato. Eppure è fin troppo evidente che ogni scuola ha costi “fissi”, tra i quali quello per le retribuzioni rappresenta la parte più consistente.

Fino a quando tali costi non saranno assunti dalla Repubblica (Stato, Regioni, Comuni nel loro complesso e con riferimento alle rispettive competenze) non si avrà equità nell’accesso al Sistema nazionale di istruzione. L’obiettivo da raggiungere, dunque, resta un finanziamento idoneo, (ovviamente finalizzato e da rendicontare da parte delle scuole), in modo da non comportare per le famiglie costi diversi da quelli previsti per la frequenza delle scuole dell’infanzia statali.

Quanto agli strumenti, le proposte da parte del mondo delle “nostre” scuole (dall’infanzia in su) sono state da tempo formulate e ampiamente motivate. A tale riguardo, il costo standard di sostenibilità è un modello che consente la dovuta trasparenza per un calcolo corretto rispetto all’impiego delle risorse economiche della Repubblica per tutto il Sistema nazionale di istruzione, ovvero è il costo ottimale per lo sviluppo dell’attività educativa per ogni alunno, calcolato assumendo come riferimento la scuola che garantisce tutto ciò che deve ai costi più efficienti nel quadro del fabbisogno standard. Può essere utilizzato, perciò, quale strumento/modalità generale in un processo che intende riformare l’intero Sistema nazionale di istruzione. Calato nel contesto delle scuole dell’infanzia, la concretizzazione – poiché il tempo non è una variabile indipendente (anzi!) – la scelta praticabile, da subito, per poter proseguire il servizio, è la stipula di una convenzione diretta tra MIUR e scuole FISM. Una convenzione pluriennale, adeguata nell’entità economica, certa nell’erogazione e nei tempi di accreditamento dei fondi, sulla base del numero di scuole e di sezioni per scuola, con un’attenzione particolare alle monosezioni. Questa è la soluzione concreta, fattibile e sostenibile, è il perno che permette di dare più stabilità alle “nostre” istituzioni – che, ribadisco, sono no-profit – consentendo loro di operare anche con un credito cedibile al sistema finanziario. La convenzione, inoltre, dando più garanzie di continuità del servizio al personale che vi opera, sostiene il mantenimento di una qualità alta dell’offerta formativa; qualità alta, già autorevolmente riconosciuta dall’OCSE, che definisce il Sistema nazionale dell’infanzia italiano – plurale, integrato – parametro di eccellenza a livello internazionale.

Questo è quanto la FISM da tempo chiede, per il segmento dell’infanzia, alle Istituzioni e alla politica: che si dia compimento, finalmente, alla Legge 62 del 2000.

Sommessamente ricordo, a chi si è sempre opposto, che la Legge 62/2000, tra l’altro, fu oggetto di richiesta di referendum abrogativo. Richiesta dichiarata inammissibile dalla Corte Costituzionale, con sentenza numero 43 del 2003. Una sentenza di grande importanza – fatta passare sotto silenzio da quasi tutti gli organi di informazione – poiché in essa la Corte assume che il Sistema nazionale di istruzione (comprensivo delle scuole statali e delle scuole paritarie) costituisce uno dei significati costituzionalmente ammissibili e possibili che discendono dall’interpretazione del quarto comma dell’art. 33 Cost.

A tale riguardo, il compianto prof. Giuseppe Dalla Torre – già Magnifico rettore della LUMSA – conclude un puntuale studio sul tema affermando che, in Italia, con l’approvazione della Legge 62/2000 non si è fatto altro che dare attuazione all’“istituto costituzionale della scuola paritaria”.

La definizione di chiari obiettivi e i connessi stanziamenti stabiliti nelle grandi scelte compiute recentemente dall’Unione Europea – delineati, per quanto ci riguarda, nel PNRR italiano – evidenziano che la praticabilità economica c’è, purché la volontà politica riconosca che l’intervento a sostegno della scuola italiana, di tutta la scuola, dunque anche quella paritaria, costituisce un investimento strategico per il presente e per il futuro, con innegabili e positivi riflessi sulla qualità dell’offerta formativa dell’istruzione e dell’occupazione, dell’armonizzazione e della conciliazione dei tempi di lavoro, soprattutto femminile, e familiari.

Un’azione ambiziosa e olistica che pone le condizioni indispensabili perché il futuro sia abitabile e appartenga alle nuove generazioni.