Intervento di Domenico Menorello, Coordinatore Pubblica Agenda Sussidiaria e Condivisa – Ditelo “sui tetti”

Ringraziamo i tanti amici che si sono dati appuntamento al seminario odierno (ci siamo dovuti fermare a 400 per i limiti imposti dalla prudenza sanitaria), amici che sono presenti anche in rappresentanza di oltre settanta associazioni che da quasi tre anni si accompagnano in un percorso comune (come potrete vedere anche dal materiale che trovate nelle cartelline) e che hanno concorso nella sintesi di giudizi e proposte che oggi offriamo al confronto pubblico. Ringraziamo le moltissime autorità che hanno dimostrato interesse per l’iniziativa, sia parlamentari di appartenenze amplissime e diverse, sia membri del Governo. Ringraziamo, poi i tanti autorevoli testimoni dell’impegno sociale e sanitario, dell’imprenditoria, del sindacato, della finanza, del giornalismo, della cultura, dello sport e delle istituzioni, che hanno voluto seguire da vicino i lavori di questo pomeriggio. Ringraziamo i pastori presenti che hanno accettato il nostro invito e specialmente il Cardinale Gualtiero Bassetti, e suo tramite i Vescovi italiani, nonché il Cardinale Pietro Parolin, e suo tramite il Pontefice di cui è Segretario di Stato, assieme ad altri eminenti Cardinali presenti, come anche mons. Piero Gallo, mons. Roberto Malpelo, mons. Vincenzo Turturro, mons. Robert Murphy, mons. Francesco Pesce e suoi predecessori Sue Eccellenze Lorenzo Leuzzi e Giarrico Ruzza, mons. Liberio Andreatta, mons. Luigi Mistò e don Gianni Fusco, che ci hanno dimostrato uno straordinario affetto accompagnandoci negli anni scorsi e nella proposta che, umilmente, presentiamo oggi.

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Oggi, infatti, osiamo proporre un “cambio di passo”.

A noi stessi, e dunque anche al laicato cattolico italiano.

Perché urge un cambio di passo? Perché ci siamo accorti di non aver affatto capito quanto profonda sia stata l’intuizione di Papa Francesco in quegli auguri di Natale del 21 dicembre 2019: “Quella che stiamo vivendo -diceva- non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti … trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di … elaborare il pensiero … Capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima”.

Noi -soprattutto noi laici cattolici italiani- siamo rimasti troppo a lungo “come si era prima”. E al “cambio d’epoca” non è seguito un adeguato nostro cambiamento. Infatti, ci siamo lasciati ingannare per molto tempo da quel che era un sempre più sottile e superficiale strato di convinzioni sociali in apparenza ancora diffuse, specie in tema di tutela della vita e della famiglia. Ma si trattava solo di una scorza cui non corrispondeva più la società italiana, Un’illusione di cui potevamo e dovevamo accorgerci in tante occasioni, ma che è definitivamente svanita il 27 aprile 2017, quando nel tabellone luminoso della Camera dei deputati sono apparsi i voti contrari alla proposta che avrebbe aperto la breccia eutanasica nell’ordinamento italiano divenendo poi la legge 219/2017: trentasette. 37 su 630 deputati!

Uno scenario inimmaginabile solo qualche anno addietro.

Per questo non ci si può più girare dall’altra parte: nella società italiana anche gli echi delle certezze della tradizione sono ormai svaniti. Gli ultimi veli del tutto caduti.

Non solo. Il “cambio d’epoca” si riconosce anche per un nuovo e spregiudicato uso delle leve pubbliche e del diritto. Da qualche anno, cioè (come abbiamo esposto nella scheda che trovate nella cartella), sia il potere giudiziario, sia il potere politico utilizzano le leggi e le sentenze per affermare, direttamente, spregiudicatamente, una certa idea di uomo. In effetti, per settant’anni – con la significativa e forse profetica eccezione della 194- il Parlamento era stato prudentissimo nel forzare con il potente strumento della legge la sfera degli ideali, occupandosi per lo più di economia, sociale, fisco. Invece, almeno dal 2014 la legislazione e la giurisprudenza -anno dopo anno e con buona pace del principio di laicità dello Stato- sono divenute strumenti sempre più massicciamente branditi per entrare nello statuto delle convinzioni più essenziali di ciascuno e per spingere il popolo a convincersi che la vita non ha più, sempre, valore in sé, ma solo quando essa sia considerata “dignitosa”.

In molte nuove norme di legge e in un gran numero di sentenze, il cambio d’epoca sta cioè imponendo la correlazione fra la dignità della vita e il sempre più esaltato mito della “autodeterminazione”, come ha spiegato Alfredo Mantovano già dal primo seminario comune delle associazioni del luglio 2019. In un’intervista all’Osservatore romano del 2019 Stefano Zamagni ha chiamato il tempo attuale quello della “seconda secolarizzazione”, in cui viene negata la dimensione comunitaria della persona e si pretende che l’uomo sia un novello “Prometeo”, concepito “solo”, “autonomo”, che deve perciò essere liberato dai condizionamenti degli altri e della realtà. Nella pratica, l’esistenza diviene a “dignità variabile”, a seconda della sua conformità ai modelli individualistici e di “successo” proposti dalla mentalità dominante; se invece la vita diviene fragile, diversa, disabile, malata, depressa o anche solo inadatta può essere scartata. In simili circostanze la vita non avrebbe valore. Prevarrebbe il “nulla”. Così, l’antropologia della esaltata autodeterminazione diviene quella nichilistica “cultura dello scarto” da cui instancabilmente ci avverte Papa Francesco. E dalla quale deriva quel diffuso “smarrimento”, acuito dalla pandemia e dalla guerra, che Benedetto XVI collegava direttamente -in un’intervista del 2019- proprio alla “crisi antropologica” in atto.

Dunque, cosa ci propone e impone questo scenario del “cambio d’epoca”?

Sino a quando si reputava esistente una -seppur apparente- koiné, in Italia l’impegno pubblico dei cattolici si è riversato per lo più sul piano organizzativo, dunque su un livello per sua natura secondario, nell’ambito di più o meno fortunate forme partitiche per la partecipazione alle istituzioni.

Ora, invece, appare prioritario un passo diverso. La rottura antropologica provocata dal “cambio d’epoca” chiama a sfide nuove. Quali? Il 30 maggio 2018 Ella Eminenza affermava che “Mai come oggi c’è un urgente bisogno di uomini e donne che sappiano usare un linguaggio di verità”. Nel cambio d’epoca, pertanto, i cattolici sono chiamati non tanto a sforzi organizzativi, ma innanzitutto a una presenza e una visibilità antecedenti, cioè a una visione e a un giudizio pubblici, convintamente “pre-politici”, che spieghino “con un linguaggio di verità” e rendano chiara verso tutti, senza preclusione alcuna, pubblicamente, dunque “sui tetti”, come ci incoraggia il Vangelo (Mt 10,27) quale sfida antropologica si giochi anche attraverso le leve della politica, della legislazione e del diritto. E l’edificio della nostra presenza pubblica può davvero essere ricostruito dalle fondamenta, in quanto il “cambio d’epoca” sembra offrirci la privilegiata occasione per stupirci di nuovo davanti a una antropologia più ragionevole e affascinante di quella di Prometeo. Mutuando una felice espressione di Antiseri in una sua recentissima pubblicazione, “l’uomo non è un costruttore di senso, bensì un mendicante di senso”. Infatti, come leggiamo nella lirica di Montale, “sotto l’azzurro fitto / del cielo qualche uccello di mare se ne va; / né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto: / «più in là»”. Soprattutto nel nichilismo pratico che ci circonda e che ci fa paura perché ci vuole scartare se diventiamo “inadatti” ai canoni del successo, ci stupisce con toni nuovi l’incontro di uno sguardo sull’uomo per cui “anche i capelli del capo sono contati”, cosicché ogni istante di vita, specie se fragile, debole, malato può essere denso di “domanda di essere”, segno di una speranza possibile, secondo il modello umano di Francesco d’Assisi.

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Cari amici, in questi tre anni di lavoro assieme abbiamo sperimentato il gusto della condivisione di un simile giudizio, cercando la sfida più determinante, quella antropologica, su fatti pubblici che ci coinvolgono tutti. Abbiamo riscoperto quanto vi sia convenienza nell’imparare l’uno dall’altro una nuova intelligenza su ciò che accade, accorgendoci con stupore dell’abbondanza di accenti, di prospettive, di umanità che c’è fra noi. Abbiamo provato il fascino e anche la inaspettata forza di una collaborazione che riparta dal Fatto che ci unisce e metta insieme sensibilità differenti, molto differenti, grazie a Dio!, per individuare possibili alternative più corrispondenti alla ragione, perché più umane.

Dalla collaborazione di quasi tre anni, è sorta l’ipotesi di dare visibilità non a un manifesto, non a un programma, ma più semplicemente a una “agenda”, imperniata esclusivamente -e solo ove sarà via via possibile- su giudizi e contenuti condivisi, sempre rispettando la straordinaria pluralità delle singole associazioni. Perché solo la forza della condivisione pubblica di ragioni e di proposte da offrire a tutti – a tutti “sui tetti”!-, può consentire sia di essere d’aiuto a noi stessi, sia di divenire credibili interlocutori per i decisori! Sappiamo bene che in Italia tutto viene letto in chiave strumentale per incasellare ogni passo pubblico in schemi politici talmente conficcati nella mentalità comune da diventare banali riflessi condizionati. Porteremo pazienza, ma quel che è certo è che non apparteniamo ad alcuna truppa di nessun risiko nostrano. A noi interessa giocare in un altro campo, che é antecedente a quello politico e che è stato lasciato da troppo tempo abbandonato. Ci interessa stare assieme per capire se quel modello di uomo tanto “autodeterminato” da essere presto scartato, che ci viene sempre più imposto per legge, ci corrisponda o se vi siano proposte più adeguate al cuore umano. Cerchiamo, allora, un luogo e una dimensione nuovi per essere assieme su ciò che è necessario e rifiutiamo di entrare nelle caselle tanto consuete quanto desuete dei luoghi comuni che rifuggono i contenuti e temono il confronto fra ideali vivi. Dunque, l’Agenda è e sarà totalmente e solamente pre-politica, desiderosa di dialogo a 360° con chiunque sia interessato al confronto anche su una sola delle 55 proposte concrete e delle ragioni antropologiche oggi esposte. Nelle cartelline (quelle che ci sono perché pensavamo di essere in molti di meno…) come nel portale dedicato abbiamo descritto questo primo abbozzato tentativo completamente declinato in questioni specifiche con proposte puntuali, che verrà motivato e illustrato nel bel lavoro che ci aspetta in questo pomeriggio, nonché in una prossima pubblicazione per i tipi della Cantagalli (che ringraziamo), in cui potranno trovare ospitalità anche contributi di tanti amici che oggi hanno accettato il sacrificio di non intervenire e che vanno ringraziati per primi.

La Pubblica Agenda di cui oggi siamo tutti potenziali promotori, avrà, poi, aggiornamenti periodici, di norma trimestrali, per focalizzare le questioni dell’attualità istituzionale, legislativa e giurisprudenziale via via ritenute prioritarie in quanto in esse si ravveda quella sempre più pressante sfida fra Prometeo e Francesco sopra tratteggiata, così da continuare a offrire, sul piano saldamente pre-politico, a tutti i player delle istituzioni democratiche e culturali del Paese un dialogo pubblico che vorremmo utile, secondo il principio di sussidiarietà, alla valorizzazione e alla centralità della vita di ciascuno, specie dei più fragili.

Speriamo, allora, di incontrarci in tanti, e spesso, “SUI TETTI”…!